L'uomo,la colpa,la punizione
Nella sua produzione tragica, Eschilo riflette la realtà circostante: ne I Persiani e ne I sette contro Tebe si ritrova il resoconto delle battaglie di Salamina, con una difesa della politica marittima di Temistocle, riferimenti dovuti molto alla sua esperienza nelle guerre persiane. Fu anche il solo testimone tra i grandi poeti greci classici dello sviluppo della democrazia ateniese: infatti, Le supplici contiene il primo riferimento ad una forma di governo definita come «potere del popolo». Nelle Eumenidi, inoltre, la rappresentazione della creazione dell'areopago, tribunale incaricato di giudicare gli omicidi, sembra un implicito sostegno alla riforma di Efialte, che nel 462 a.C. trasferì i poteri politici dall'areopago al consiglio dei Cinquecento. Inoltre le sue tragedie affrontano temi come il diritto d'asilo o la nascita dello Stato dalle lotte di famiglia.
Al centro del teatro di Eschilo è, comunque, il problema dell'azione e della colpa, della responsabilità e del castigo. Eschilo si chiede perché l'uomo soffra, da dove provenga agli uomini il dolore. Viene solo dalla loro condizione di mortali, come affermavano i poeti arcaici, o da un errore originario, scontato dall'intera umanità, come è l'errore di Prometeo in Esiodo[17]? Oppure all'interno della condizione umana esiste anche la responsabilità del singolo individuo? Tutta la sua tragedia è una tensione alla ricerca di una risposta che arriverà a dare, rivestendo la sua tragedia di forza etica per la polis ateniese del V secolo.
A proposito dell'origine della sofferenza, nella mentalità più arcaica e anche contemporanea di Eschilo si definiva hýbris (in greco anticoὕβρις) quell'accecamento mentale che impedisce all'uomo di riconoscere i propri limiti e di commisurare le proprie forze: chi ha ambizioni troppo elevate e osa oltrepassare il confine posto dagli dei pecca di hýbris e incorre in quella che viene chiamata “invidia degli dei” (in greco anticoφθόνος θεῶνphthónos theôn), una divinità “invidiosa” del potere umano che, come tale, è determinata ad abbatterlo con prepotente capriccio. Da qui, secondo questa teoria, la causa della sofferenza umana.
Eschilo però rinuncia a questa teoria e mostra invece come le azioni delle divinità sugli uomini non sono prodotte da semplice invidia, ma sono conseguenze edificanti di una colpa umana, in quanto gli dei sono assoluti garanti di giustizia e di ripristino dell'ordine, e dunque alla hýbris corrisponde sempre il saggio ammaestramento divino, attraverso la punizione. Giustizia (in greco anticoδίκηdíkē), insomma, è la legge che gli dèi impongono al mondo e che spiega la casualità degli avvenimenti, apparentemente inesplicabile, regolando con bilance esattissime la colpa e la punizione, rivelandosi allora come un immanente ingranaggio che non lascia scampo a chi si è macchiato di una colpa o a chi ne "eredita" una commessa dai propri antenati (Eschilo mantiene, infatti, l'antica idea che la condanna del delitto travalichi la colpa immediata dell'individuo che l'ha commessa, propagandosi sull'intera stirpe: così, anche la vittima incolpevole si lega al male ed è costretta a commettere a sua volta una colpa, di cui comunque si rivela cosciente e perciò consapevole e responsabile, seppure dietro lo schermo della “necessità”).
Alla luce della funzione edificante della punizione è chiaro che attraverso il dolore, che ogni uomo è destinato a soffrire,l'essere umano matura la propria conoscenza (πάθει μάθος, pàthei màthos): si rende cioè conto, scontando la propria pena, dell'esistenza di un ordine perfetto e immutabile che regge il suo mondo.

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